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Privas, il paese dei folli

20 giugno 2015 – 

Sveglia presto. Si fanno le orecchiette. Siamo del sud, io d’adozione, ma Mina no.

Fatto il lavoretto possiamo goderci la mattinata e partiamo dotati di telecamere per andare a intervistare i nostri nuovi amici Karen, Frederic (Abert) e Karel che ieri erano al concerto. Il mercato è coloratissimo, perfettamente organizzato, nessuno strilla e tutti sorridono. Un signore del comune passa banco per banco e rilascia lo scontrino agli espositori che pagano la piccola quota giornaliera. Avviene tutte le volte che c’è il mercato cioè due volte a settimana e in questa maniera tutti pagano, nessuno approfitta o si “allarga”. La mediateca è alle nostre spalle, in un palazzo meraviglioso che ospita la struttura. Tenete presente che ci sono circa 7000 abitanti a Privas… non è una metropoli.

Quello che mi colpisce è la solarità, il buon umore di queste persone che mi salutano anche solo per ricambiare uno sguardo felice. Ci sono dei riferimenti al posto in cui vivo, ma come mi hanno detto ultimamente, “tanto chi vo’ capì capisce”. Entriamo nel negozio “Dose Nature” di Frederic e Karen che sono degli artigiani ma naturalmente hanno mille storie e scopriamo che cambiano lavoro e vita ogni cinque anni, Frederic che si faceva chiamare Albert suona la chitarra e scrive canzoni che già porto con me, così mi faccio firmare la sua locandina con dedica e me la porto via. Ci riempiono di regali e sappiamo già di avere una nuova casa nei loro occhi. Karen dice che la follia più grande che ha fatto è “vivere”, nel senso di vivere sentendo qualcosa. Così la vita è forse folle.

Entriamo nella farmacia e stringiamo il gemellaggio con i farmacisti di Privas che non credono sia possibile la storia del farmacista naturalista vegano in tour per l’europa con un disco che si intitola #ufficialmentepazzi ma sono contenti lo stesso.

Karel, invece, è venuta via da Parigi e qui ha cambiato vita pure lei aprendo un negozio di abiti usati che organizza come fosse una boutique di via del corso. Bellissima. La intervistiamo davanti al negozio e capiamo sempre più che la cifra di questo nostro andare è il “cambiamento” senza il quale la vita è fossile, ridotta all’esecuzione di un brano ripetuto mille volte.

Pian piano si fa chiaro il nostro viaggio e passiamo davanti proprio all’ospedale di Sainte-Marie, struttura enorme che prima era un monastero o una chiesa e che ora ospita 2000 persone a quanto ci dice Brigitte, persone con “difficoltà”. Alcuni di loro sono solo ospiti notturni e sono inseriti nella comunità, altri hanno degli alloggi pagati dallo stato a Privas e nei posti vicino e possono vivere una vita di comunità.

C’è tempo solo per un pranzo veloce con le orecchiette fatte la mattina mentre intervistavo Brigitte e poi si deve ripartire. Peccato lasciare questi posti, queste facce belle questi luoghi di resistenza partigiana, questa natura che finalmente ha ritrovato il suo spazio e ruolo. Ci facciamo un pensierino, ma poi siamo in macchina.

Le spie lampeggiano, i fischietti suonano. Tutto a posto.

#vitengoaccanto.

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