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Casa dolce casa

E’ tardissimo quando arriviamo a casa di Elisabetta, a Groningen.

Elisabetta è mia sorella, vive e lavora qui.

Scherzo sempre dicendo che lei è nata prima e ha preso tutto il cervello, così io mi sono dovuto accontentare; scherzo ma forse è vero, infatti lei è Fisico e io suono la chitarra e vado in giro a chiedere alle persone cosa è folle o normale secondo loro.

Alla fine del “Pazzesco Tour” penserò meglio a questa cosa, ora sono troppo appassionato.

Sono in molti a venir fuori da questa Italia un po’ malandata ma piena di risorse, intelligente ma troppo debole, ignorante e malata di protagonismo. Alcuni rientreranno, altri guarderanno lo stivale da lontano e in lontananza uno stivale può sembrare una ciabatta.

Si, a Groningen gioco in casa, decisamente.

Ci aspettano in piedi, Elisabetta, Harriette (che avevo conosciuto a Copenhagen tanti anni fa) e Roel. Qualcosa rubo dal frigo mentre racconto spezzoni di questo viaggio al centro della terra, queste ventimila leghe sotto i mari vissute per terra e sole in questo camminare alla ricerca.

Ricompaiono i segni, e finalmente collego tutto. La spirale. Quando Roel mi fa vedere i cappelli artistici e decisamente chic che disegnava e realizzava a mano negli anni settanta ad Amsterdam, capisco. Sono tutte spirali, una forma geometrica piena di simbolismi e significati. Collego tutto, le case sugli alberi di Therese, le case a spirale sugli alberi di Carlo, i cappelli a spirale di Roel, le migliaia di lumache che inspiegabilmente popolano sempre il nostro balcone all’ultimo piano di un palazzo in pieno centro e che continuamente “deporto” in aperta campagna per ritrovarmele sul balcone ma soprattutto il disco che pesco nel mazzo di un negozio di cose di seconda mano e che ha in copertina una spirale nera su fondo bianco. Certo è un caso, anche la carta delle fate che ho pescato da Carlo, ma facciamo finta che il caso non esista. Infatti non esiste. E’ una questione di attenzione, basta guardare.

Sto guardando.

Saprò dirvi.

L’Atelier di Hans e Roel è un posto magnifico, per me che adoro entrare in una ferramenta o in una falegnameria più che in qualsiasi altro posto. E’ un luogo attrezzato con macchinari moderni e computer ma in cui si lavora con le mani a fare arte. I quadri che realizza Roel sono fatti con la lana e io non volevo crederci finchè non li ho guardati da vicino. Ritratti, animali, oggetti tra i più disparati prendono vita in questi lavori pieni di attenzione. Un lavoro meditativo, di precisione, che richiede la visione del tutto a partire dal minuscolo. I mobili, le scale, gli oggetti che disegna Hans sono moderni e concepiti con disegno artistico, sempre attento allo stile. Idee innovative e materiali caldi, legni di rovere e anche riscattati dai loro usi precedenti. Bello dev’essere, lavorare qui, col mondo che apre la porta perchè tutto sia possibile. E’ possibile anche suonare, su un bel tappeto, con una coreografia inventata e surreale, con il divano in prima fila per i genitori di Hans e Roel, con gli amici che arrivano alla spicciolata. Natalie, che avevamo conosciuto a dicembre, nella sua casa nel bosco e Valerio, pittore italiano che vive qui da tanti anni e che mi porta in regalo un disco registrato da lui. Facciamo uno scambio: uno a uno.

Mi piace regalare il mio disco, non dovrei dirlo, ma quando trovo le persone giuste quasi non mi tengo. Ho sempre pensato che le cose a cui teniamo di più non sono in vendita.

Le cose a cui teniamo possiamo solo regalarle.

E’ così che faccio.

Suonare, parlare, ridere, mangiare, spiegare, bere e parlare con un ragazzo che studia fisica e suona la chitarra, intervistare Valerio nello studio di Roel, rimettere il divano al piano di sopra io e Roel, tutti e due con una spalla rotta ma facendo finta di niente, questo giorno e mezzo è passato ala velocità della luce, quasi non mi sono accorto di aver fatto lo spettacolo e ora ho due giorni di relax.

Perfetto.

Un po’ dormiamo.

Un po’ mangiamo.

Un po’ dormiamo.

Un po’ camminiamo come turisti, per questa città che ormai conosciamo abbastanza bene e dove abbiamo i nostri punti di riferimento.

Ce ne mancava uno: Eddy.

Eccolo qua, in cima alla piazza grande del mercato, questo assieme colorato e odoroso, perfettamente organizzato e mai urlante, sempre educato commerciare all’aperto, fianco a fianco con garbo.

Eddy ha avuto un’idea geniale.

Una bicicletta.

Un carretto di legno.

Un ombrellone con due bellissimi tavolini alti e sgabelli.

Una macchina del caffè montata sul carretto.

Avete messo insieme?

E’ il Bicycle caffè di Eddy e sua moglie.

La sorpresa?

Il caffè è buonissimo e c’è pure il latte di soia per il cappuccino veg.

Eddy suonava il basso, il figlio la chitarra, la moglie canta. Mi dice che due anni fa ha dovuto inventare qualcosa perchè con la musica non c’è denaro ed eccolo qua, sorridente con questi occhi azzurri spalancati sulla vita. Lo intervistiamo e lo riprendiamo, spiegandogli i motivi del nostro viaggio, raccontando di “Ufficiamente pazzi” e di come “pazzesco Tour sia una “scusa musicale” per connettere storie, racconti, canzoni e poesie, alla “folle” ricerca dell’origine dei nostri comportamenti. Pazzesco Tour è la storia di persone emarginate, fantasmi, è la storia dell’amore perduto e trovato, della luna che sale dolcemente al cielo, delle parole dette e non dette, dei sogni appesi e dei palloni volati.

I video che stiamo raccogliendo, li pubblicheremo, traducendoli, perchè siano loro stessi, gli uomini e le donne con cui abbiamo parlato a raccontarvi la loro visione di “follia e normalità”.

Eddy guarda un grosso bar davanti a noi e ci dice: vedete, per stare lì dentro servono tremila euro solo per l’affitto.

Questo è folle!

Io alle cinque raduno tutto e pedalo dove voglio.

Sono libero.

Cosa siamo disposti a fare per essere liberi, per essere quello che siamo?

Eppure il risultato delle nostre scelte è talmente evidente, che bisogna essere matti per non vederlo.

Grazie Eddy,

Dank je wel.

Ti aspettiamo a Roma.

Noi però, domani, passiamo per Lipsia.

Vi tengo accanto.

P