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Er kebabbaro

Non è una barca.

E’ un’ipotesi.

Qualcosa che potrebbe essere uscito dal cappello magico di Tom Waits durante una cena con Quentin Tarantino. Ho l’impressione che possa accadere di tutto qui, e ne sono sicuro quando vedo Keith Richards avanzare verso di me. E’ Gerda (si pronuncia Herda e si rischiano figuracce), un viso bello, pieno di vita e di storie che già sto pregustando e infatti durante l’intervista ci dà un bel po’ di assaggi. Sistemiamo le cose, faccio Sound Check e sono pronto per la cena. Saar, la figlia di Gerda è gentilissima e bella ma ops, abbiamo dimenticato che siete Vegani. Niente paura, ci vuole un attimo! Scendiamo tutti in cambusa e ci mettiamo a cucinare insieme fra un bicchiere di vino e una storia, un parola in francese e una in inglese. Oplà, come dicono a Strasburgo, è pronto.

Il concerto fila liscio, non molta gente, poca pubblicità e un brutto tipo che sentendoci parlare italiano decide di offenderci per chissà quale torto subito da qualche italiano. Who cares about you, man. Siamo felici, ma a fine serata troviamo la firma sulla macchina; un bel graffione su tutto il lato.

Gli italiani devono averlo trattato proprio male, chissà, anche se come dicevano i Rockes “ma che colpa abbiamo noi”.

Sono le tre del mattino e ancora non troviamo da mangiare, se escludiamo la banana transgenica che ho sottratto dalla barca accanto insieme a una mela di porcellana. Due ragazze molto belghe e molto simpatiche ci portano in un posto che conoscono loro. Evviva.

E’ un “kebabbaro”.

Voglio dormire senza mangiare.

Poi chiediamo una pizza veg e il ragazzo mi guarda a lungo, incrocia le braccia e poi dice:

“Indù?”

Come?

“Tu, Indù”

Io no e tu?

“Io no, ma tu perchè non mangia carne hombre?”

Apparte il fatto che non sono messicano, non mangio carne per filosofia di vita.

“Ah ah, per il commercio la carne è indispensabile, la carne serve, tutto si basa sulla carne”

Appunto.

“Ti faccio la pizza”

Sarà meglio.

Puntiamo al futuro, al cambiamento, alla vita che incontriamo per strada. Anche questa del “kebabbaro” (come diciamo a Roma) è una vita necessaria, appresa per tradizione e forse giusta così con le sue contraddizioni le sue “follie”, le sue convinzioni riguardo a ciò che è necessario e ciò che non lo è. So solo che combatto perchè questa parte di “follia”, quella che coinvolge le vite che non hanno scelta, diventi finalmente un brutto ricordo, un pazzia che hanno fatto i nostri avi in un’era passata, arretrata e inutilmente violenta.

E chiedo perdono al mondo.

Vi tengo accanto.

P