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Con una bionda in mano

Colonia 210

Sono 35 gradi Celsius e ci danno il benvenuto a Lipsia, città piana che in inverno non ha bisogno di spiegazioni, tutti lo sanno; qui fa freddo.

Sarà.

Oggi e per i quattro o cinque giorni a venire l’aria brucia e Lipsia non è abituata né attrezzata, si muove tutto un po’ più piano ma non si ferma il battito di questa città rinata dopo la caduta del muro nell’89.

A San Nicholas ci sono ancora i cartelli con la scritta “Offen fur alle” (aperto per tutti), scritta che sanciva la possibilità per chiunque volesse, di entrare in chiesa a immaginare la libertà, il futuro, le ali. Non era importante la professione di fede (quella religiosa) ma la voglia di conquistare una vita nuova. Così fu e adesso questo posto ha un alto valore simbolico al pari della chiesa di St Thomas, dove invece è sepolto il grande J.S.Bach che qui lavorò e compose per trent’anni. Sentire il coro di voci bianche, accompagnato dall’organo a canne costruito appositamente per rendere al meglio la musica di J.S.Bach è un po’ come sentire gli angeli cantare. Un’emozione unica al mondo.

Luisa ci aspetta alla Kunst Kraft Werk, nome che miracolosamente riesco a imparare nel tempo record di tre giorni (un giorno a parola) e ci investe subito con l’energia propria dei tornado. E’ un medico, si occupa di oncologia e nutrizione con progetti innovativi che sta portando avanti con una forza e determinazione davvero impressionanti. La cena dal cinese che fa “real street food”, anche vegano, è un occasione per parlare di tutti i progetti, le idee e i sogni da realizzare e che siamo sicuri Luisa riuscirà a mettere in opera.

Queste sono le chiavi, poche spiegazioni e ci lascia andare a cercare la “stanza” dove potremo riposarci e dormire. Siamo nella “Spinnerei”, una specie di città nella città, un insieme di costruzioni solide e massicce come il freddo comunismo di questi posti e che in passato era una enorme fabbrica con tanto di treno e rotaie al suo interno. I binari, le ciminiere, queste grandi costruzioni ci riportano il pensiero a cose fosche, ricordi irritanti di un passato incivile e tetro. Qui però i tanti stabili, grandissimi, le tre ciminiere e le strade che una volta erano percorse dagli operai che immagino curvi sotto il peso di un lavoro durissimo, oggi sono stati riqualificati e assegnati ad artigiani, artisti, liutai, attori, pittori. Prezzi bassi per permettergli di avere un posto dove vivere e lavorare, per rendere più bella questa città, perché l’arte migliora ogni cosa, migliora la vita.

Cerchiamo “la stanza” ed entriamo un po’ dovunque ma la chiave che abbiamo non apre niente, eppure dovrebbe essere la palazzina E. Però ce ne sono due! Scale, montacarichi, corridoi, scale, un cinema ricavato dentro un vecchissimo camioncino stile URSS color verde, sedie di plastica, ceramiche fatte a mano, quadri bellissimi, lampadari in porcellana finissima, chitarre classiche e finalmente “Colonia 210”. Non so cosa significa ma ho sentito questa parola nelle istruzioni di Luisa e sembra la pista buona. Punes mi aspetta tre piani di sotto, nel piazzale con un mare di bagagli che non ce la facevamo più a trascinare così ci siamo separati, come nei film del terrore. In effetti questi lunghi corridoi mi fanno tornare alla mente film non proprio gradevoli; infilo la chiave.

Va.

Apro la porta e richiudo. Non può essere, devo aver sbagliato di nuovo. Eppure la chiave gira.

Riapro; il posto è un loft da 300 metri, tutto stile industrial, come ho visto solo nei film, solo che qui c’è anche un pianoforte a coda, dei divani, un impianto, le percussioni, un grammofono autentico a manovella, una cucina grandissima e soprattutto il distributore della birra, ghiacciata, sempre a disposizione, da spillare quando vuoi.

Punes, vieni a vedere, corri!!

Dopo i giorni nel villaggio occupato è davvero un lusso esagerato e decidiamo di godercelo fino in fondo, ringraziando Luisa e Marcus per questo luogo meraviglioso che sebbene assolutamente non necessario, ci da un po’ di tregua dopo tanti giorni di viaggio e fatica, adesso che è arrivato un gran caldo.

Conosciamo Philipe Neumann che costruisce chitarre classiche, un ragazzo italiano che fa ceramiche, un ricciuto alto alto che insieme alla sua compagna fa opere incredibili con la porcellana e giriamo per la Spinnerei immaginando che tutto questo è magnifico e a Tivoli, da dove veniamo noi, sarebbe perfetto per riqualificare le cartiere andate in malora dopo gli anni sessanta. Chissà che non si possa fare, chissà che finalmente il  pericoloso morbo dell’intelligenza non venga a colpire anche la nostra cittadina? Siamo ottimisti, quasi dei sognatori.

Valerio Camarda, musicista e ingegnere ci saluta con affetto e ci racconta che lui di Lipsia è proprio innamorato. Arrivato qui la prima volta una decina d’anni fa, ha deciso di rimanerci a vivere, prendendo la fatidica decisione proprio dentro la chiesa di St. Thomas, ascoltando un concerto con le musiche del più grande di tutti, J.S. Bach.

E’ Valerio che mi introduce, all’inizio del concerto, parlando di me in tedesco e io non capisco nulla ma spero che racconti cose belle e da come mi guarda il pubblico, credo di si…

Parlo in inglese, dico di conoscere solo due parole in tedesco e me ne scuso. Una è ‘Kartoffeln” (patata) e l’altra è “Holtz” che non so cosa voglia dire ma era il nome del cane che avevo a 10 anni. Il concerto fila bene, una meraviglia e quando pronuncio “Kunst Kraft Werk” alla perfezione si stupiscono tutti ma non sanno che c’ho messo tre giorni a impararlo. Paolo, un bambino simpaticissimo mi fa un sacco di foto e poi ne facciamo una insieme sorridendo felici come quelli che vincono la coppa del mondo di felicità.

Fine concerto, ora c’è tempo per andare alla festa che Marcus ha organizzato con i suoi colleghi. La sera scorre bene e il distributore di birra dentro casa è una bellezza che mi farebbe diventare alcolista in una settimana; ne approfitto finché sono qui, birra tedesca spillata a domicilio, temperatura perfetta, un piano a coda e non ho più voglia di dormire.

Prima di partire, la cena è a casa di Luisa e Marcus, con tutta la famiglia che si è riunita per un’occasione un po’ speciale, il diploma di Chiara.

C’è anche Paolo tornato apposta dalla Francia dove sta lavorando. Sono ragazzi giovani, conoscono quattro lingue alla perfezione, sono svegli e intelligenti, aperti e solidi. Si vede che hanno le armi giuste per affrontare una vita che gli darà tante soddisfazioni. Sono bellissimi gli occhi di Luisa quando parla di loro e di come insieme a Marcus hanno sempre cercato di mettergli nella “valigia della vita” le cose che pensavano sarebbero servite. Anche quelle cose che lì per lì i figli non capiscono proprio bene ma che poi saranno utili. Una bella lezione di “come si fa il genitore” che tante mamme e papà italiani dovrebbero imparare, sempre lì a non  far vivere i loro “pargoli” proteggendoli da una vita che avanza, assetata di emozioni ed esperienze. Mi diverto a suonare qualcosa per loro, dopo cena, e pian piano il sonno avanza, almeno per noi che abbiamo qualche anno in più sulla groppa. Infatti Chiara esce per andare a una festa come fosse mezzogiorno. Noi salutiamo, abbracciamo, stringiamo queste persone splendide che sappiamo rivedremo presto e andiamo alla Spinnerai.

Ci attende l’ultimo boccale di birra e un po’ di sonno, che domani è Italia.

Vi tengo accanto, con una bionda in mano.